Quanto costa il risarcimento danni?
In linea di massima il risarcimento danni e’ una modalità di compensazione da parte di chi ha commesso un fatto illecito e ingiusto nei confronti di chi ha subito il danno.
Ad esempio, un caso semplice di risarcimento danni per un incidente stradale potrebbe costare tra i 500 e i 1.500 euro, mentre un caso più complesso potrebbe costare anche più di 3.000 /10.000 euro. In generale, è sempre consigliabile chiedere un preventivo dettagliato al consulente prima di assumere i suoi servizi.
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Quanto costa un risarcimento danni per un sinistro? La gestione stragiudiziale e giudiziale NON COSTO NULLA alla vittima!
Conclusa la pratica con la compagnia assicurativa la vittima dovra' riconoscere una percentuale come da contratto all'agenzia che ha gestito la pratica.
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Quanto costa un consulente esperto, avvocato, medico legale per un risarcimento danni per sinistro stradale, infortunio sul lavoro, malasanità’ errore medico?
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Per esperienza ultra trentennale, il "danneggiato fai da te" otterrà risarcimenti inferiori anche del 70% rispetto ad un nostro assistito. Decidete Voi se fare i Vostri interessi o quelli dalla compagnia assicurativa.
Con noi dell’agenzia Ambrosiana Risarcimenti Danni - div. Agenzia IDFOX Srl - hai a Tua disposizione un solo professionista, che opera in sinergia con il nostro Team: la divisione "RISARCIMENTI DANNI” opera nel settore da oltre 30 anni, occupandosi del contenzioso dei danni causati da Malasanità, Infortuni sul lavoro, Incidenti Stradali ecc. e avvalendosi di un team di professionisti specializzati, avvocati, medico legale e consulenti vari iscritti come CTU presso Tribunali.
La nostra missione è: dare voce a chi non ne ha e ottenere il giusto risarcimento.
La nostra politica è: assistere il cliente in ogni fase, anticipando tutte le spese, e offrendo le consulenze necessarie, grazie ai nostri esperti.
A conferma della nostra affidabilità, potrai contare sul fatto che il nostro compenso dipenderà dal buon esito della tua pratica.
Il risarcimento dei danni è garantito dall'ordinamento giuridico italiano dall'art. 2043 del Codice Civile.
I risarcimenti dei danni sono una modalità di compensazione da parte di chi ha commesso un fatto illecito e ingiusto nei confronti di chi ha subito il danno. Le indagini su frodi assicurativa/danni, sono finalizzate a documentare la veridicità di ogni tipo di sinistro mediante accertamenti investigativi su eventi e comportamenti; Le indagini sono indispensabili per tutelare l’assicurato, il danneggiato ed eventualmente la compagnia assicurativa sia in sede civile che penale al fine di ottenere il giusto risarcimento danni.
Quando le dinamiche di un sinistro non sono chiare o quando viene richiesto un risarcimento a un gruppo assicurativo è consigliabile avvalersi dell’aiuto di un team di esperti per potersi tutelare a pieno.
Produrre i giusti documenti e certificati, eseguire tutti gli esami medici e le perizie necessarie, redigere e inoltrare correttamente la denuncia di sinistro e la richiesta di indennizzo entro i termini previsti, sono tutti elementi determinanti per avviare al meglio una pratica di risarcimento con un ente assicurativo; in questo caso solo un’agenzia investigativa specializzata nell’antifrode assicurativa può essere di fondamentale aiuto, intervenendo con competenza e celerità.
Tutte le spese necessarie all’accertamento del sinistro, quali perizie tecniche o svolte da medici legali, vengono anticipate interamente dall’agenzia assicurativa.
Le nostre attività includono anche l’acquisizione pratica del sinistro presso le autorità competenti e trattative con i liquidatori. Le aree di competenza dell’agenzia Idfox includono: danni biologici, danni patrimoniali, infortuni sul lavoro, danni a beni o persone a seguito di incidenti stradali e danni in seguito a casi di malasanità, pubblica e privata.
Ottieni il massimo da un sinistro! Le nostre statistiche parlano di un risarcimento al 100%!
Chi subisce un sinistro ha la necessita dell’assistenza di un esperto in infortunistica per ottenere il giusto risarcimento; spesso effettua delle ricerche su internet oppure si affida al passaparola di amici e parenti.
Trovare il giusto professionista per farsi assistere non è facile in quanto trovare un professionista specializzato, un avvocato, un medico/legale, oppure altro tipo di CTU.
A seguito di un sinistro, è altamente consigliabile, per tutelare appieno i propri diritti, affidarsi ad un professionista esperto in materia di sinistri. soprattutto quando il risarcimento va richiesto a una compagnia di assicurazioni, i danni sono di una certa entità oppure la dinamica dell’evento non è chiara.
Il nostro team ha come obiettivo quello di favorire un rapporto con un un solo consulente specializzato, fondato da sulla fiducia , rispondendo ai bisogni relazionali della persona per garantire qualità elevata e massima assistenza; tra avvocati, medico legale ed eventuali consulenti ctu;
Tutte le anticipazioni per le sottonotate attività, tecnica, legale e medica, utili al l’avvio della pratica, saranno interamente anticipate da noi!
-valutazione del tuo caso di incidente stradale sotto il profilo tecnico, medico/legale;
-avvio della pratica di risarcimento nei confronti della compagnia assicuratrice per richiesta:
-acquisizione pratica del sinistro presso le autorità
- trattativa con i liquidatori, dalle prove del danno subito all’effettiva liquidazione del risarcimento per:
-danni non patrimoniali (danni morali)
-danni conseguenti al decesso di un congiunto, vittima d’incidente stradale
- danni al veicolo o ad altri beni danneggiati
-danni per lesioni fisiche o psichiche (danno biologico), temporanee e permanenti
-danni patrimoniali relativi alle spese di cura
-danni patrimoniali conseguenti al mancato guadagno nel corso della convalescenza o alla perdita del posto di lavoro
È un risarcimento che puoi richiedere al datore di lavoro ed alla sua assicurazione nel caso in cui ne sia accertata la responsabilità nella determinazione dell’infortunio o della malattia professionale, e consiste in:
-un’integrazione dell’Indennità Temporanea prevista dai contratti collettivi
-un risarcimento per il danno patrimoniale, non indennizzato dagli istituti previdenziali
un’integrazione dell’Indennità Temporanea prevista dai contratti collettivi
-un risarcimento per il danno patrimoniale, non indennizzato dagli istituti previdenziali
-un risarcimento per danno biologico, permanente e temporaneo, non indennizzato dagli istituti previdenziali
-un risarcimento dei danni non patrimoniali (danni morali)
-un risarcimento per il danno patrimoniale, non indennizzato dagli istituti previdenziali
-un risarcimento per danno biologico, permanente e temporaneo, non indennizzato dagli istituti previdenziali
-un risarcimento dei danni non patrimoniali (danni morali)
Che cos'è il danno differenziale?
-un risarcimento per danno biologico, permanente e temporaneo, non indennizzato dagli istituti previdenziali
un risarcimento dei danni non patrimoniali (danni morali)
Cosa facciamo per te?
Rivolgendoti al nostro team di medici e avvocati specializzati da anni nel settore degli
infortuni sul lavoro e delle malattie professionali:
valutazione del tuo caso di infortunio o malattia professionale
perizia da parte di medici specialisti
avvio della pratica di richiesta danni
Mancanze nell’adempimento degli obblighi sul consenso informato
contagio da emotrasfusione
Vittima di errore medico?
cadute attribuibili ad omessa vigilanza
errori in sala parto con ripercussioni sul neonato o sulla madre
errate indagini prenatali
- Dentista: impianto sbagliato, per la negligente esecuzione della prestazione odontoiatrica.
risarcimento danni e indennizzo il riferimento normativo è rappresentato dall’art. 1, comma 1, L. del 25 febbraio 1992, n. 210 ove il legislatore stabilisce espressamente che “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge” ed a cui rimandano anche gli artt. 1 e 4 della Legge del 29 ottobre 2005, n. 229.
Sono in moltissimi a chiedersi se, in caso di effetti dannosi – lievi o gravi – subìti a seguito della somministrazione del vaccino per il Covid-19, potrebbero ricevere un “risarcimento danni”.
Per i danni fisici o psichici patiti a seguito di una vaccinazione obbligatoria, il danneggiato ha diritto al risarcimento ed anche ad un ulteriore indennizzo.
Nel 2021 le spese legali liquidate per casi di errori medici sanitari dopo sentenze sfavorevoli alla classe medica sono state di circa 220 milioni di euro, con un costo medio annuo per struttura di oltre 900 mila euro.
Risarcimento danni attività sportiva: l’attività agonistica
In merito al risarcimento dei danni nella pratica sportiva occorre distinguere tra danno che sorge in relazione a una attività dilettantistica e danno che deriva da una attività agonistica.
Una recente sentenza Cassazione 19 novembre 2021, n. 35602 sul danno nelle pratiche sportive ricorda anzitutto come l'attività agonistica implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano:
“è giurisprudenza risalente di questa Corte quella per cui "l'attività agonistica implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell'alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi" (Cass. n. 1564 del 1997; Cass. n. 20597 del 2004; Cass. n. 2710 del 2005)” (Cassazione 19 novembre 2021, n. 35602 su pratica sportiva e risarcimento danni).
Ma la stessa sentenza distingue le ipotesi: valgono infatti delle distinzioni:
“a) il danno è causato pur nel rispetto delle regole del gioco, caso nel quale più che far valere l'attività sportiva in sé come scriminante, vale osservare che il danno si connota in termini di imprevedibilità in ragione dello scopo della norma violata: le regole del gioco infatti possono essere a presidio del gioco stesso, come a presidio della incolumità dell'avversario (in alcuni sport di contatto, il divieto di colpi bassi). In questi casi se lo sportivo procura danno, pur nel rispetto della regola di gioco, il danno può non porsi a carico del danneggiante per difetto di colpa” (Cassazione 19 novembre 2021, n. 35602 su attività sportiva e risarcimento danni);
“b) il danno è causato colpevolmente in violazione delle regole del gioco, e segnatamente di quelle che mirano a tutelare l'incolumità altrui. In questo caso non si tratta di una scriminante, nè tipica (consenso dell'avente diritto), nè atipica, che altrimenti, l'attività sportiva sarebbe da considerare come illecita, ed invece è attività consentita e socialmente utile. Piuttosto, si tratta di valutare la rilevanza della colpa” (Cassazione 19 novembre 2021, n. 35602 su pratica sportiva e risarcimento danni).
Per cui le ipotesi sono diverse e occorre distinguere se vi è diritto al risarcimento danni caso per caso, non essendo possibile affermare in astratto che ogni rischio è accettato da chi partecipa al gioco: “non è sufficiente dire che lo sportivo accetta il rischio e dunque non può pretendere il risarcimento di alcun danno che derivi dall'attività sportiva: ad esempio, il rischio di condotte dolose dell'avversario. L'atleta accetta il rischio normalmente connesso a quel tipo di sport, non ogni rischio derivante dalla condotta altrui, anche dolosa. E' dunque giustamente escluso dalla regola dell'accettazione del rischio il fatto doloso o dovuto a colpa particolarmente grave (Cass. n. 12012 del 2002)” (Cassazione 19 novembre 2021, n. 35602 su pratica sportiva e risarcimento danni).
L’agenzia investigativa Idfox S.r.l. è diretta dalla Dottoressa Margherita Maiellaro.
La direttrice ha maturato un’esperienza pluriennale nel campo investigativo ed assicurativo ha conseguito una Laurea in Giurisprudenza, con specializzazione in diritto internazionale, presso l’Università Bocconi.
L’agenzia investigativa IDFOX Investigazioni è stata fondata da Max Maiellaro.
Il fondatore, con oltre 30 anni di esperienze investigative maturate nella Polizia di Stato, già diretto collaboratore del Conte Corrado AGUSTA, ex Presidente dell’omonimo Gruppo AGUSTA SpA, è stato inoltre responsabile dei servizi di sicurezza di una multinazionale, nonché presso vari gruppi operanti in svariati settori quale metalmeccanici, chimica, oreficeria, tessile, alta moda, elettronica e grande distribuzione, ha sempre risolto brillantemente ogni problematica investigativa connessa a: infedeltà aziendale, ai beni, marchi e brevetti, concorrenza sleale e alla difesa intellettuale dei progetti, violazione del patto di non concorrenza, protezione know-how e tutela delle persone e della famiglia, nonché referente abituale di imprenditori, manager, multinazionali e studi Legali su tutto il territorio Italiano ed anche Estero.
Il team dell’agenzia IDFOX è formato da ex appartenenti alle Forze di Polizia, i quali si avvalgono di mezzi e tecniche sempre all’avanguardia e al passo con le nuove tecnologie, vantando conoscenze approfondite e certificate nel campo dell’intelligence.
L’agenzia investigativa IDFOX fornisce documentazioni valide per uso legale, tra le quali: perizie e relazioni tecniche; servizi di osservazione, acquisizione documentali pressi varai enti
L’agenzia investigativa Idfox fornisce un valido aiuto in caso di accertamento sinistri e richieste di compensazione. Quando le dinamiche di un sinistro non sono chiare o quando viene richiesto un risarcimento a un gruppo assicurativo è consigliabile avvalersi dell’aiuto di un team di esperti per potersi tutelare a pieno.
Tutte le spese necessarie all’accertamento del sinistro, quali perizie tecniche o svolte da medici legali, vengono anticipate interamente dall’agenzia assicurativa.
Le nostre attività includono anche l’acquisizione pratica del sinistro presso le autorità competenti e trattative con i liquidatori.
Le aree di competenza dell’agenzia Idfox includono: danni biologici, danni patrimoniali, infortuni sul lavoro, danni a beni o persone a seguito di incidenti stradali e danni in seguito a casi di malasanità, pubblica e privata.
Vi invitiamo a contattarci per ricevere assistenza sui vostri sinistri, per potervi fornire la consulenza più adatta al vostro caso.
Le nuove Tabelle 2022 del Tribunale di Milano
Le nuove Tabelle 2022 del Tribunale di Milano, alla luce della Cassazione n. 10579/2021 con un sistema a punti, tengono conto ai fini del calcolo di alcune importanti circostanze specifiche come l'intensità del rapporto affettivo
Il Tribunale di Milano ha diramato le nuove tabelle (sotto allegate) relative al risarcimento del danno da perdita parentale. Le nuove Tabelle sono state elaborate nel rispetto dei nuovi principi affermati dalla Corte di Cassazione a partire dalla sentenza n. 10579 del 2021.
Per la loro elaborazione si è provveduto al monitoraggio di circa 600 sentenze di merito in materia di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e alla luce dei risultati del monitoraggio si è stabilito che i punti attribuibili in astratto superino i 100 ovvero 118 e 116 "con un CAP pari al valore monetario massimo della forbice delle precedenti tabelle così consentendo la liquidazione del massimo valore risarcitorio in diverse ipotesi e non in un solo caso salva sempre la ricorrenza di circostanze eccezionali."
Liquidazione del danno con sistema a punti
Anche per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale il Tribunale di Milano ha deciso di ricorrere a una tabella basata sul sistema dei punti. Nei casi più gravi di perdita dei genitori dei figli del coniuge o di soggetti assimilati il valore del "punto" base è di euro 3365,00 mentre in caso di perdita di fratelli e nipoti il valore del "punto base" è di euro 1461,20.
Nel quantificare il danno però il Tribunale di Milano attribuisce particolare rilievo, in ossequio agli ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia, a fatti e circostanze non secondarie come l'età della vittima, l'età di chi sopravvive, il grado di parentela e la convivenza.
Valorizzata l'intensità della relazione affettiva
Di particolare interesse ai fini della quantificazione del danno da perdita parentale è però il criterio che fa riferimento alla qualità e alla intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto.
In questo caso, ai fini della valutazione del danno, si terrà conto non solo della sofferenza interiore patito, ma anche dello stravolgimento della vita della vittima secondaria nella sua dimensione dinamico relazionale.
Avranno rilievo ai fini della determinazione dell'intensità della relazione affettiva le seguenti circostanze e ovviamente la loro frequenza:
* la frequentazione di due soggetti in presenza o anche in modalità telefonica o Internet;
* la condivisione di feste e ricorrenze;
* la condivisione delle vacanze, di attività lavorative, di passatempi o sport;
* l'attività di assistenza sanitaria e domestica prestata alla vittima primaria dalla vittima secondaria;
* l'agonia e la penosità derivanti dalla particolare durata della malattia della vittima primaria e della sua incidenza sulla sofferenza della vittima secondaria.
Tanto per fare un esempio, nel documento riportante le tabelle, il punteggio massimo relativo all'intensità della relazione affettiva potrà essere assegnato ad esempio quando un bambino di 5 anni perde un genitore. In casi come questi, di regola vi è convivenza, condivisione giornaliera di tutte le attività e dipendenza della vittima secondaria dalla vittima primaria.
LA TABELLA IN ORIGINALE: Scarica ora la tabella
Tabelle per la percentuale di invalidità permanente e calcolatori per l’entità del risarcimento.
Disciplinati dall’art.139 del Codice delle assicurazioni private ed approvati tramite Decreti Ministeriali, gli importi per il risarcimento variano in base al punteggio di invalidità permanente e all’età del danneggiato (minore è l’età e maggiore sarà il risarcimento).
Il danneggiato, vittima di un incidente stradale con lesioni fisiche oppure di un infortunio sul lavoro o malattia professionale, per ottenere un risarcimento dall’assicurazione necessita di una perizia medico legale e poi di un avvocato specializzato nel campo risarcimenti danni assicurativi.
Punteggio per danno biologico da incidente stradale
Riguardo i risarcimenti assicurativi per le lesioni fisiche subite a causa di un incidente stradale, le valutazioni sulle menomazioni e sull’equivalente in denaro si differenziano in base all’entità dell’invalidità permanente riscontrata nel danneggiato.
Per invalidità permanenti comprese tra 1 e 9 punti percentuali, il Ministero della Sanità, con la Legge n.57 del 5 marzo 2001, ha stabilito l’utilizzo di specifiche tabelle per valutare le menomazioni all’integrità psicofisica di lieve entità.
I medici legali quindi, per assegnare un valore in punti percentuali di invalidità permanente, in base alle lesioni di lieve entità riportate dal danneggiato vittima di incidente stradale, dovranno utilizzare come riferimento le tabelle delle lesioni
In base ai punti percentuali stabiliti dalla perizia medico legale, sarà poi possibile calcolare il risarcimento dell’assicurazione e stabilire l’equivalente in termini monetari.
La legge 5 marzo 2001, n. 57, al comma 3 dell’art. 5, definisce il danno biologico, come la lesione alla integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medicolegale, precisando che il danno biologico e’ risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato. Inoltre, al comma 5 dello stesso articolo, la legge stabilisce che debba essere predisposta una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità.
Scopo dunque della tabella e’ quello di indicare parametri numerici da utilizzare ogni volta che, nell’ambito del risarcimento del danno alla persona in responsabilità civile auto, vi sia la necessità di effettuare un accertamento medico-legale per stabilire in che misura debba essere quantificata una menomazione permanente alla integrità psicofisica, nel caso questa menomazione rientri in un tasso compreso tra l’1% ed il 9%.
Di seguito sono elencate le tabelle utilizzate per stabilire la percentuale di invalidità permanente e i calcolatori impiegati per determinare l’entità del risarcimento.
Tabelle delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità
SCARICA ORA: TABELLA DEL DANNO BIOLOGICO DI LIEVE ENTITA'
Di seguito le tabelle utilizzate dai medici legali per valutare e quantificare i danni fisici di lieve e grave entità da incidente stradale divisi per parti anatomiche:
Tabelle lesioni da 10 a 100 punti di invalidità
Una volta determinata la percentuale dell’infortunio sarà possibile procedere al calcolo del risarcimento attraverso le successive tabelle.
Le tabelle del danno biologico
Condanna del medico per l'omicidio volontario di diversi pazienti terminali a cui, senza chiedere il consenso, somministrava cure palliative. Lo ha stabilito la Cassazione, rigettando il ricorso dell'imputato con la sentenza n. 48944/2022.
Già la Corte d'Assise aveva condannato il medico di pronto soccorso per diversi omicidi. Lo stesso aveva cagionato volontariamente la morte di diversi pazienti ricoverati in gravi condizioni somministrando loro trattamenti sanitari eutanasici non richiesti.
La Cassazione ricorda che, anche se i fatti sono anteriori all'entrata in vigore della legge n. 219/2017 sul consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, la trasparenza del procedimento degli interventi di medicina palliativa era comunque già imposta dalla legge n. 38/2010, mentre per quanto riguarda la regola del consenso informato essa è alla base di ogni trattamento terapeutico.
Nessuna anamnesi finalizzata alla rilevazione dell'eventuale dolore, nel caso di specie, è stata eseguita, come emerge dall'analisi delle cartelle cliniche. L'imputato si è quindi arrogato il diritto di attuare nei confronti dei pazienti pratiche di tipo terapeutico non convenzionale in modo del tutto arbitrario, non per soddisfare una richiesta del paziente stremato dalla sofferenza, ma al solo fine di obbedire a proprie convinzioni su chi in quel momento, meritava o meno di vivere.
Con Sentenza n. 35318 del 30 novembre 2022, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse in materia di azione diretta in favore del terzo trasportato nei confronti dell’assicurazione prevista dall’art. 141 cod. ass.
L’azione diretta prevista dall’art. 141 cod. ass. in favore del terzo trasportato è aggiuntiva rispetto alle altre azioni previste dall’ordinamento e mira ad assicurare al danneggiato una tutela rafforzata, consentendogli di agire nei confronti dell’assicuratore del vettore e di ottenere il risarcimento del danno a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, fatta salva la sola ipotesi di sinistro causato da caso fortuito.
La tutela rafforzata riconosciuta dall’art. 141 cod. ass. al traporta o danneggiato presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli, pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi, e si realizza mediante l’anticipazione del risarcimento da parte dell’assicuratore del vettore e la possibilità di successiva rivalsa di quest’ultimo nei confronti dell’impresa assicuratrice del responsabile civile.
Nel caso in cui nel sinistro sia stato coinvolto un unico veicolo l’azione diretta che compete al trasportato danneggiato è esclusivamente quella prevista dall’art. 144 cod. ass., da esercitarsi nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile.
Il principio di precedenza non è illimitato, occorre tenere conto del principio del neminem laedere, è però possibile che il pedone tenga una condotta imprevista e imprevedibile tale da causare da sola l'evento
Per la Cassazione non si può condannare il conducente per l'investimento del pedone, se dalle circostanze del caso concreto risulta che il pedone in effetti è sbucato all'improvviso, in assenza di strisce pedonali, in una strada in cui era assente sia la segnalazione delle velocità da rispettare che del punto di accesso da cui è uscito il pedone per immettersi nella strada.
Tanto più se la Corte di appello, ignorando anche quanto emerso dalle perizie, non si è confrontata con i dubbi sulla colpa e sul nesso di causa emersi dalla sentenza di primo grado.
Questo l'interessante decisione della Cassazione n. 42018/2022.
Vero che spetta al conducente tenere sempre una condotta prudente e accorta nei confronti dei pedoni, vero anche però che "in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrla."
Difficile insomma, ma il pedone può anche essere totalmente responsabile dell'evento.
Nel decidere su una domanda di risarcimento avanzata da un soggetto colpito da poliomielite dopo la vaccinazione antipolio non si può escludere il nesso perché la letteratura ne esclude la potenziale pericolosità.
Sbaglia la Corte di merito a non approfondire il nesso di causa tra il vaccino e i danni lamentati dal soggetto vaccinato che dopo paralisi, interventi e cure, è stato dichiarato invalido al 100%.
Non è sufficiente che le leggi di copertura scientifica abbiano escluso la dannosità potenziale del vaccino anche perché in diversi soggetti ha provocato la malattia. E' necessario andare oltre e verificare la sussistenza di una causalità specifica in base a quanto emerso dalla documentazione probatoria.
Questa l'interessante precisazione contenuta nella sentenza della Cassazione n. 34027/2022
La Cassazione ricorda che la Corte di Giustizia UE "ha ritenuto che la mancanza della prova scientifica della dannosità di un vaccino non può impedire l'individuazione processuale di un nesso di causalità tra l'inoculazione del farmaco e l'insorgere della malattia, dovendo il giudice investito della causa valutare scrupolosamente il quadro indiziario fornito dalla parte danneggiata per stabilire, nel caso specifico, l'eventuale inferenza tra la somministrazione del farmaco e l'evento lesivo".
Per la Cassazione, non si può condannare il medico per omessa o tardiva diagnosi se non vengono individuate con esattezza le norme che si ritengono violate, in questo modo non è possibile comprendere l'addebito
Una dottoressa viene condannata in primo e secondo grado per il reato di lesioni colpose gravi perchè, a causa della omessa diagnosi di carcinoma mammario, una donna è stata colpita dalla crescita del carcinoma da cui è derivata una malattia di 127 giorni.
Dalle prove è emerso che una diagnosi c'è stata e che la dottoressa ha proposto alla paziente due prelievi, suggerendo quello istologico. Non è quindi chiaro se l'addebito è stato mosso in ragione di una omessa o tardiva diagnosi o di una scelta inappropriata dell'intervento diagnostico o terapeutico.
Il quadro è lacunoso e contraddittorio tanto che non è dato comprendere esattamente l'addebito e le norme violate dalla dottoressa.
Annullata senza rinvio quindi la sentenza impugnata agi effetti penali perchè il reato si è estinto per prescrizione e annullata con rinvio ai soli effetti civili.
Cassazione n. 46662/2022
Omissione di atti d'ufficio per il medico di guardia che trascura l'età avanzata della paziente, la sua impossibilità a muoversi e le gravi difficoltà respiratorie e non si reca a visitarla
Confermata dalla sentenza della Cassazione n. 44057/2022 la condanna del medico di guardia per il reato di omissione di atti d'ufficio. Nel caso di specie, l'età della paziente e le sue condizioni di salute, comportavano l'obbligo del medico di recarsi dalla paziente per una visita. Non rileva il codice bianco assegnato dalla centralinista e la non gravità della paziente accertata dal medico che invece si è recato dalla donna per la visita domiciliare, prescrivendo anche idonea terapia.
Vero che, come affermato dal medico, la visita domiciliare è un'opzione, è però anche vero che il medico deve valutare caso per caso l'opportunità o meno di recarsi presso il domicilio del paziente per una visita. Nel caso di specie, remano contro la decisione del medico, l'età della paziente, le sue condizioni di salute e la manifesta non disponibilità della guardia anche a un consulto telefonico.
Nel caso di specie la visita presso il domicilio rappresentava per la Cassazione l'unica strada da percorrere.
Non si può non punire il medico, ai sensi dell'art. 590 sexies c.p., se la condotta colposa tenuta nell'eseguire il prelievo del midollo è stata commessa con colpa grave.
La non punibilità è prevista solo in caso di imperizia e se sono state rispettate le linee guida. Questo quanto emerge dalla Cassazione n. 46263/2022.
Vediamo per quale motivo gli Ermellini si sono espressi in questi termini.
Un medico viene condannato per il reato di omicidio colposo in primo e in secondo grado per aver perforato lo sterno e quindi il cuore della paziente mentre eseguiva il prelievo del midollo osseo tramite l'esame puntuale sternale.
Entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto, alla luce delle prove raccolte, che la condotta addebitata al medico sia stata, nel caso di specie, l'unica causa dell'evento morte in quanto l'ago è stato introdotto in un sito diverso da quello indicato, percorso scorretto che ha comportato la perforazione degli organi, con conseguente decesso della paziente.
La Corte di appello ha descritto la condotta del medico superficiale e negligente e la colpa con cui ha agito "grave", per cui la causa di non punibilità prevista dall'art. 590 sexies c.p. non è applicabile. La punibilità infatti è esclusa solo nei casi di imperizia lieve nella fase in cui si attuano le raccomandazioni delle linee guida.
Onere della prova a carico del lavoratore e del datore di lavoro: chi deve dimostrare il danno e l’esistenza della responsabilità?
Come in tutte le cause, anche in quelle aventi ad oggetto l’infortunio sul lavoro è essenziale adempiere al cosiddetto «onere della prova» ossia dimostrare l’esistenza del proprio diritto. Non basta affermare di aver subito una malattia a causa delle prestazioni espletate in azienda se poi non si è in grado di certificarne l’esistenza. Su questo aspetto, la Cassazione ha chiarito come debba essere ripartito l’onere della prova tra datore e dipendente, una ripartizione che tiene conto ovviamente delle concrete possibilità di ciascuna delle parti.
Una recente ordinanza della Cassazione ricorda dunque, in caso di infortunio sul lavoro, a chi spetta la prova. Si tratta di una questione di facile soluzione perché fa leva su alcuni principi di logica comune, prima ancora che giuridica. Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i chiarimenti offerti dai giudici.
Cos’è l’onere della prova?
La legge afferma che chi vuol far valere un proprio diritto deve poterne dimostrare l’esistenza. La controparte che voglia invece difendersi deve dimostrare il contrario: ossia l’inesistenza di tale diritto o comunque i fatti estintivi dello stesso.
È questo l’onere della prova. La causa è come una sorta di partita a tennis: ad ogni botta di un giocatore deve corrispondere una risposta dell’altro volta a respingere l’accusa nell’altro lato del campo.
Quando il datore di lavoro è responsabile per l’infortunio in azienda?
Spesso gli infortuni sul lavoro avvengono per la nocività dell’ambiente in cui opera il dipendente o per il continuo utilizzo degli strumenti di lavoro (un martello pneumatico, un computer, un montacarichi, una vernice pericolosa, ecc.).
In generale tutti gli infortuni sul lavoro sono coperti dall’Inail. Ad esso si aggiunge il risarcimento del datore di lavoro solo quando risulta che l’infortunio è addebitabile a quest’ultimo, per non aver adottato le misure preventive e di sicurezza volte a contrastare qualsiasi rischio.
Dunque, non perché un dipendente si fa male sul lavoro ha sempre diritto al risarcimento dal suo datore. Quest’ultimo infatti non ha una responsabilità oggettiva, che scatta cioè a prescindere dalle cause dell’infortunio; la sua responsabilità va collegata solo alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
In particolare il datore di lavoro non è responsabile per l’infortunio quando:
* l’infortunio è stato determinato da un comportamento imprevedibile e abnorme del dipendente, del tutto estraneo alla prestazione lavorativa (si pensi a un dipendente che si metta a giocare con gli strumenti di lavoro per far ridere gli amici);
* oppure quando dimostra di aver adottato tutti i mezzi a sua disposizione necessari a prevenire gli infortuni
Come funziona l’onere della prova in una causa per infortunio sul lavoro?
Vediamo infine come si ripartisce concretamente l’onere della prova se si dovesse instaurare una causa tra datore di lavoro e dipendente che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute.
La Cassazione ha chiarito che, in caso di infortunio sul lavoro, spetta al lavoratore dimostrare:
* la nocività dell’ambiente di lavoro e quindi che l’infortunio è dipeso proprio dalle mansioni;
* il danno alla salute subito;
* che il danno è dipeso solo e unicamente dall’ambiente di lavoro nocivo.
Spetta invece al datore di lavoro la prova di avere adottato tutte le misure di sicurezza necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
Cass. Sez. Lav., 30 giugno 2022, n. 20823
Il danno da perdita parentale, che trova il suo fondamento nell'art. 2059 c.c., si concretizza nel vuoto rappresentato dal non poter più godere della presenza e del rapporto con una persona cara a causa del fatto illecito altrui
Danno da perdita parentale: cos'è
La perdita di una persona cara rappresenta un evento doloroso che si ripercuote nella quotidianità, traducendosi in un vuoto incolmabile e, in sostanza, in un profondo mutamento delle proprie abitudini di vita.
Proprio per questo, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato, negli anni recenti, la figura del danno da perdita parentale, risarcibile ai parenti di un soggetto venuto a mancare a causa del fatto illecito altrui.
Si tratta di un danno non patrimoniale che trova il suo fondamento nell'art. 2059 c.c., oggi interpretato in chiave diversa rispetto al passato. Sebbene tale norma, infatti, faccia riferimento ai "casi determinati dalla legge", ormai il riconoscimento del danno viene slegato dalla configurazione del fatto come reato e dalla previsione della fattispecie in una norma di legge ordinaria.
Piuttosto, la stella polare che porta alla pacifica ammissibilità del danno parentale appare essere il dettato costituzionale, nelle sue norme poste a tutela della famiglia (artt. 2, 29, 30 Cost.).
Presupposti e natura
Il danno parentale, come ha chiarito anche la Corte di Cassazione, si concreta nel non potere più godere della presenza di chi è venuto meno e del rapporto che si aveva con lui. Di conseguenza, esso attiene allo stravolgimento di un sistema di vita che trovava le sue fondamenta nell'affetto e nella quotidianità di tale rapporto. In breve, il danno da perdita parentale si traduce nel "non poter più fare ciò che per anni si è fatto" (cfr. Cass. civ., Sez. III, n. 9196/2018).
Considerato in tal modo, questo tipo di danno sembra riassumere in sé i caratteri del danno esistenziale, in quanto afferente alla sfera dinamico-relazionale del soggetto interessato, più che quelli propri del danno morale, inteso come sofferenza intima del superstite.
Giova ricordare che il danno parentale può configurarsi anche in caso di mera lesione del rapporto parentale, che si verifica quando il soggetto vittima del fatto illecito non perde la vita ma riporta, comunque, conseguenze a livello psico-fisico tali da comportare il mutamento delle abitudini quotidiane nel rapporto con il parente.
Onere della prova
Per quanto sia comunemente ricorrente nella realtà pratica (almeno con riferimento ai familiari più stretti) non è corretto considerare il danno parentale come sussistente in re ipsa, per il mero fatto del decesso del parente.
Il danno, invece, va in ogni caso allegato e descritto dalla parte interessata, che di esso deve fornire adeguata dimostrazione.
La prova del danno da perdita parentale, in particolare, può essere offerta per testimoni oppure in via documentale o per presunzioni. Essa deve mirare a dimostrare tutti gli aspetti sopra esaminati e perciò deve consentire di desumere, in primis, l'attualità del legame affettivo tra il parente e la vittima, la sua importanza e la sua non occasionalità.
Va rilevato che la giurisprudenza sul tema si va evolvendo nel senso di non richiedere più la convivenza come aspetto necessario per il riconoscimento del danno parentale. Questa posizione ha aperto la strada, pertanto, alla risarcibilità del danno da perdita parentale anche al di fuori del nucleo familiare in senso stretto, per tutelare, ad esempio, rapporti come quello tra nipoti e nonni (o zii).
Caratteri della decisione
La decisione del giudice, da prendersi a seguito di valutazione equitativa, deve essere motivata tenendo conto dei diversi aspetti che caratterizzavano il rapporto tra il richiedente e la vittima dell'illecito, come il grado di parentela, l'età dei due soggetti del rapporto, la composizione complessiva del nucleo familiare, l'eventuale convivenza e l'insieme delle abitudini quotidiane che risultano modificate o addirittura stravolte dall'evento.
La liquidazione del danno da perdita parentale
Per la liquidazione del danno parentale, la giurisprudenza si divide sull'utilizzo delle tabelle milanesi o di quelle romane. Entrambe, ovviamente, offrono un valido riferimento per una uniforme valutazione di base del danno, ma quest'ultimo va, in ogni caso, personalizzato, cioè calcolato prendendo in considerazione le peculiarità del caso concreto.
Dalla necessità di allegazione e prova del danno da perdita parentale, che abbiamo sopra esaminato, discende la considerazione che non esiste un danno minimo garantito, da liquidare in ogni caso ai parenti della vittima.
Nel 2022, il tribunale di Milano, alla luce dei principi affermati dalla Cassazione a partire dalla sentenza n. 10579/2021, ha diramato nuove tabelle relative al risarcimento del danno da perdita parentale, elaborate secondo un sistema a punti che tiene conto ai fini del calcolo di alcune importanti circostanze specifiche come l'intensità del rapporto affettivo.
Il danno iatrogeno è il pregiudizio alla salute, che ha quale conseguenza l'aggravamento di una lesione o patologia già esistente, ascrivibile alla colpa di un terzo
Cos'è il danno iatrogeno
Il danno iatrogeno differenziale è una specie del danno biologico che negli ultimi anni ha assunto un'importanza crescente nei giudizi di responsabilità medica.
Il danno iatrogeno differenziale è, infatti, il pregiudizio alla salute collegato all'aggravamento di una lesione o di una patologia preesistente derivato dal comportamento colposo di un sanitario.
Per aversi danno iatrogeno differenziale devono quindi susseguirsi i seguenti eventi:
* l'insorgenza di una lesione della salute per colpa del terzo o per cause naturali
* l'intervento di un medico per farvi fronte,
* l'errore del medico nella gestione del paziente,
* il conseguente aggravamento della lesione originaria.
Proprio tale catena di eventi differenzia il danno iatrogeno differenziale rispetto al generico danno biologico.
Responsabilità medica integrale
Sebbene sul punto non siano mancati orientamenti contrastanti, deve ritenersi che al medico al quale, per la sua condotta colposa, sia imputabile l'aggravamento della patologia del paziente deve essere addebitata la lesione integralmente, ricomprendendo quindi anche la lesione originaria.
Quest'ultima è infatti l'antecedente logico necessario sul quale si inserisce la condotta colpevole del sanitario.
Quantificazione del danno
In sede di quantificazione del danno, si dovrà comunque tenere conto degli effetti che si sarebbero comunque verificati in ragione della patologia originaria e rispetto ai quali la condotta del medico non ha avuto alcuna incidenza.
Il danno quindi rappresenta la differenza tra l'invalidità residuata al paziente in conseguenza del comportamento del sanitario e quella che gli sarebbe comunque residuata a causa della lesione se il trattamento sanitario fosse stato corretto.
Infortunio in itinere e danno iatrogeno: come si calcola?
La questione della quantificazione del danno iatrogeno differenziale risulta più complessa quando di mezzo c'è l'Inail, ossia quando non c'è solo in risarcimento del danno civilistico, ma anche l'indennizzo. Per fortuna la Cassazione ha chiarito la questione dettando anche una serie di importanti principi giuridici (cfr. sentenza n. 26117/2021).
La vicenda che gli Ermellini hanno dovuto risolvere è assai complessa. Essa riguarda un soggetto che a causa di un incidente in itinere ha riportato una certa percentuale d'invalidità, aggravata per le cure errate dell'Asl. Ragione per la quale l'uomo ha convenuto in giudizio l'Asl per chiederle i danni.
Le questioni da risolvere in questo caso quindi sono due.
Prima di tutto occorre procedere alla liquidazione del danno differenziale che è rappresentato dalla differenza tra il risarcimento del danno riconosciuto a livello civilistico e l'indennizzo Inail. In secondo luogo occorre verificare se la quantificazione del danno subisce delle modifiche se il fatto illecito altrui, in questo caso quello dell'Asl, incide sui criteri di quantificazione in presenza del solo aggravamento (danno iatrogeno) di un danno che comunque si sarebbe verificato, ossia quello riconducibile all'infortunio in itinere.
A queste due importanti questioni la Cassazione risponde così:
* dall'indennizzo per danno biologico permanente INAIL va sottratto dal credito aquiliano per danno biologico permanente, vantato nei confronti del terzo responsabile, al netto della personalizzazione e del danno morale. Se l'indennizzo viene riconosciuto in forma di rendita, si devono detrarre dal credito civilistico i ratei già riscossi e il valore capitale della rendita ancora da erogare, al netto dell'aliquota di rendita che spetta per il danno patrimoniale;
* per determinare invece il danno iatrogeno causato dall'Asl si monetizza prima di tutto il grado complessivo d'invalidità permanente accertato in corpore, poi si monetizzando il grado d'invalidità permanente che sarebbe residuato all'infortunio in assenza dell'errore medico e infine si detrae il secondo importo dal primo.
Se la vittima del danno "iatrogeno" percepisce un indennizzo dall'Inail, il credito residuo nei confronti del responsabile va calcolato sottraendo dal risarcimento dovuto per il danno iatrogeno solo l'eventuale eccedenza dell'indennizzo Inail rispetto al controvalore monetario del danno base, che si sarebbe verificato in assenza dell'illecito.
La giurisprudenza sul danno iatrogeno differenziale
Si ritiene opportuno citare, oltre alla Cassazione 26117/2021, alcune sentenze che si sono pronunciate in maniera significativa in tema di danno iatrogeno differenziale.
Nella sentenza numero 6341/2014, la Corte di Cassazione ha ad esempio affermato che "In tema di responsabilità medica, allorché un paziente, già affetto da una situazione di compromissione dell'integrità fisica, sia sottoposto ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini un esito di compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell'intervento stesso, ai fini della liquidazione del danno con il sistema tabellare, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratto quanto monetariamente indicato in tabella per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile, e perciò non riconducibile alla responsabilità del sanitario".
Tale pronuncia è stata più di recente ripresa anche dalla sentenza numero 161/2018 del Tribunale di Rieti, ove si legge che "È errato, in sostanza, calcolare l'importo del danno effettuando l'operazione aritmetica sulle percentuali di invalidità, in quanto l'operazione corretta va fatta sul montante risarcitorio ricavabile dall'applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, posto che in tali ipotesi l'ammontare del danno riconducibile alla responsabilità dei sanitari non corrisponde al punto risultante dalla differenza tra le due percentuali, ma va stabilito operando, per l'appunto, la differenza tra il montante risarcitorio contemplato dal sistema tabellare milanese per l'invalidità di cui è in concreto portatore il paziente e quello corrispondente all'invalidità ineliminabile e normalmente risultante dal trattamento medico (intervento chirurgico o altro): in tale prospettiva si rende, pertanto, necessario "prima" liquidare il danno in euro e "poi" effettuare le operazioni aritmetiche, non già effettuare i calcoli utilizzando i numeri delle percentuali di invalidità".
Merita di essere segnalata anche la sentenza del Tribunale di Milano del 23 agosto 2016, nella quale si è chiarito che "La liquidazione relativa alla misura differenziale di un danno alla salute ... deve essere rimodulata in considerazione della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della parte lesa, e deve tenere conto di tutti i riflessi sull'integrità psico-biologica, del condizionamento e del pregiudizio delle attività reddituali, e di ogni ulteriore aspetto che concorra a descrivere il danno non patrimoniale (sulla base delle risultanze e delle allegazioni offerte dalla parte). Tale rimodulazione può consentire - partendo dall'individuazione di un risarcimento pari alla percentuale di danno che, in ossequio ai principi sopra richiamati, può ritenersi ascrivibile al professionista inadempiente - di giungere ad un risarcimento che ben potrebbe essere anche superiore a quello risultante dalla differenza trai i due diversi gradi di invalidità".
Il danno differenziale, risarcibile al lavoratore, è ottenuto dalla differenza tra quanto corrisposto dall'Inail quale indennizzo per infortunio o malattia professionale e quanto si può richiedere al datore o al responsabile del sinistro
Danno differenziale: a chi spetta
Il danno differenziale spetta ai lavoratori che dimostrino di aver subito, in ragione di un fatto illecito commesso dal datore di lavoro o da un terzo, un danno maggiore rispetto a quello che l'Inail gli ha risarcito.
Del resto, l'Inail riconosce degli importi in maniera "automatica" al semplice verificarsi dell'infortunio o della malattia che, quindi, non sempre ristorano gli effettivi pregiudizi subiti dal lavoratore.
Differenze rispetto all'indennizzo Inail
Il risarcimento del danno differenziale si differenzia rispetto all'indennizzo Inail dal punto di vista sia strutturale che funzionale.
Basti pensare che il risarcimento del danno differenziale è regolato dalle norme civilistiche ed è teso a risarcire il lavoratore di tutto il danno che ha subito in conseguenza dell'evento che ha determinato il suo infortunio o la sua malattia.
L'indennizzo Inail, invece, risponde a ragioni di carattere sociale e persegue lo scopo di garantire mezzi adeguati al lavoratore che abbia subito un infortunio o che si trovi in malattia.
Danno differenziale: com'è composto
Il danno differenziale ricomprende al suo interno molteplici tipologie di danno.
Esso, infatti, va a risarcire il lavoratore del pregiudizio subito sotto tutti gli aspetti e, quindi, a titolo di danno patrimoniale, biologico, morale, esistenziale.
L'integrazione risarcitoria rappresentata dal danno differenziale ristora, in sostanza, il danno alla salute e alla capacità reddituale, il peggioramento della qualità della vita del lavoratore e il suo turbamento interiore, derivanti dall'infortunio o dalla malattia.
Danno differenziale 2022
La legge di bilancio 2019 e il d.l. n. 34/2019 hanno introdotto alcune previsioni che hanno inciso sul danno differenziale e che restano valide anche nel 2022.
In particolare, è stato modificato l'articolo 10 del d.p.r. n. 1124/1965, che oggi, ai commi 6, 7 e 8, così recita:
"Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, e' liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti.
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39".
Si è in sostanza precisato che l'eventuale danno differenziale dovuto al lavoratore dal datore di lavoro va calcolato considerando la differenza fra l'ammontare complessivo del danno subito dal lavoratore e l'importo complessivo dell'indennizzo che l'Inail gli ha erogato a qualsiasi titolo.
Rivalsa Inail e danno differenziale
Va sempre considerato che il datore di lavoro, oltre che il danno differenziale, può essere tenuto a pagare anche quanto richiesto dall'Inail a titolo di rivalsa.
Sul punto va considerato che, anche in ragione delle modifiche apportate dalla legge di bilancio 2019, le somme oggetto del regresso vanno determinate tenendo conto sia del complesso delle prestazioni erogate dall'Inail, sia di tutto il danno risarcibile da parte del responsabile civile.
L'articolo 11, comma 1, del d.p.r. n. 1124/1965, dispone infatti che l'Inail deve corrispondere al lavoratore quanto dovuto "salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39".
Gli animali selvatici sono oggetto di diversi provvedimenti normativi. La prima legge di riferimento è la n. 157/1992 che contiene le "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio."
Fauna selvatica: la normativa
All'art. 1 si precisa che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e che compiti particolari, in relazione a diverse specie di animali, sono affidate alle Regioni e alle Province. Per l'argomento però che qui interessa trattare la norma di riferimento più importante è senza dubbio l'articolo 2052 del codice civile il quale così dispone: "Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo hai in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito."
La conferma di quanto detto proviene dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che con una recente ordinanza ha riepilogato i principi giuridici guida da seguire nelle cause risarcitorie intraprese per danni causati da animali selvatici. Vediamo di cosa si tratta.
Danni provocati da animali selvatici: art. 2052 c.c.
Un uomo conviene in giudizio la Regione Molise e la Provincia di Isernia per ottenere il risarcimento dei danni portati dal suo veicolo dopo l'impatto con un grosso cinghiale. Sia la Regione che la Provincia però eccepiscono la propria legittimazione passiva nel giudizio ai sensi degli articoli 2043 e 2052 c.c. La Cassazione nell'ordinanza n. 18454/2022 dichiara che per risolvere il caso di specie deve darsi seguito all'indirizzo di legittimità con cui questa Sezione della Corte ha affermato i seguenti principi di diritto:
Applicabilità dell'art. 2052 cc.
"I danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell'art. 2052 c. c., giacchè, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema.
Legittimata passiva è la Regione
Nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno.
Al danneggiato l'onere del nesso tra evento e condotta dell'animale
In materia di danni da fauna selvatica a norma dell'art. 2052 c.c., grava sul danneggiato l'onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell'animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi.
Invocabile l'art. 2052 c.c.
Con detto indirizzo giurisprudenziale che oramai può considerarsi consolidato - Cass. 05/11/2021, n. 32018; Cass. 9/02/2021, n. 3023; Cass. 20/04/2020, n. 7969; Cass. 29/04/2020, nn. 8384 e 8385; Cass. 6/07/2020, n. 13848; Cass. 2/10/2020, n. 20997; Cass. 31/08/2020, n. 18085; Cass. 31/08/2020, n. 18087; Cass. 15/09/2020, n. 19101; Cass. 1.2/11/2020, n. 25466 - è stato superato il precedente quadro interpretativo che riteneva impossibile invocare per la fauna selvatica il regime previsto dall'art. 2052 c.c., attesa l'inestensibilità del dovere di custodia ivi previsto agli animali selvatici che vivono in libertà.
La Regione per liberarsi deve provare il caso fortuito
Questa Corte, invece, oggi ritiene che la proprietà pubblica delle specie protette disposta in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, determina una situazione equiparabile (nell'ambito del diritto pubblico) a quella della "utilizzazione", al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema, degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario.
Di conseguenza, è la Regione a dover essere considerata, ex art. 2052 cod.civ., l'esclusiva responsabile dei danni causati dagli animali - perché se ne serve nel senso dinanzi precisato - salvo che provi il caso fortuito. Ciò comporta, evidentemente, che sull'attore che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l'onere di dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.
Al conducente dimostrare di aver fatto il possibile per evitare il danno
Ove si controverta di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici non basta - ai fini dell'applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. - la sola dimostrazione della presenza dell'animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l'impatto tra l'animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell'animale sia stata la "causa" del danno e poiché, ai sensi dell'art. 2054, comma 1, c.c., in caso di incidenti stradali, il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest'ultimo - per ottenere l'integrale risarcimento del danno che afferma di aver subito - dovrà anche allegare e dimostrare l'esatta dinamica del sinistro , dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida, da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici, e che la condotta dell'animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui - nonostante ogni cautela - non sarebbe stato possibile evitare l'impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno."
Il precedente sulla responsabilità della Regione
L'appena citato mutamento giurisprudenziale sulla responsabilità della Regione in materia di danni cagionati dalla fauna selvatica, come ricorda la Cassazione n. 22271/2021 è la Cassazione n. 7969/2020 "che ha espressamente riconosciuto la legittimazione passiva in via esclusiva alla regione in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti" (nei cui confronti, peraltro, la regione può rivalersi, anche chiamandoli in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) -, sulla cui scorta si sono espresse, tra le pronunce massimate, Cass. sez. 3, 22 giugno 2020 n. 12113 e Cass. sez. 3, ord. 6 luglio 2020 n. 13848; l'orientamento è stato ribadito da tutti i successivi arresti non massimati (Cass. sez. 6-3,ord. 31 agosto 2020 nn. 18085 e 18087; Cass. sez. 6-3, ord. 15 settembre 2020 n. 19101; Cass. sez. 6-3,ord. 2 ottobre 2020 n. 20997; Cass. sez. 3, ord.11 novembre 2020 n. 25280; Cass. sez. 6-3, ord. 9 febbraio 2021 n. 3023)
Il danno va pagato anche se l'auto ha 23 anni
La Cassazione con l'ordinanza n. 22254/2022 precisa che se le opere di abbellimento dell'auto non sono eseguite a regola d'arte il risarcimento è dovuto, anche se l'auto è stata immatricolata 23 anni prima e il suo valore è pari a zero. Vediamo perché gli Ermellini sono giunti a questa conclusione.
La vicenda processuale
proprietaria di un'auto commissiona è una s.n.c interventi di abbellimento della sua autovettura, che la società però non esegue a regola d'arte, causando difetti rilevanti proprio in occasione di un raduno per vetture a cui partecipa il committente. Per queste ragioni la committente agisce in giudizio, chiedendo il risarcimento del danno e la condanna al pagamento delle spese processuali a carico della parte avversa. La società si costituisce ed eccepisce l'infondatezza della domanda. Il giudizio risarcitorio viene riunito alla causa di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla società per il pagamento del corrispettivo per i lavori eseguiti. Il tribunale accoglie l'opposizione al decreto ingiuntivo, respinge la domanda di pagamento del corrispettivo dell'intervento e condanna la società a risarcire alla proprietaria dell'auto € 3.958,20, a pagare € 1.100,00, come da nota di credito e a pagare le spese di causa. La società appella la sentenza, ma la Corte distrettuale conferma la decisione di primo grado perché l'appellante non ha dato prova di aver eseguito in maniera corretta l'intervento. In assenza del titolo al pagamento del corrispettivo la Corte ritiene che alla resistente spetti un risarcimento del danno pari al costo per la eliminazione dei difetti causati dall'esecuzione imperfetta dell'intervento.
Risarcimento superiore al valore dell'auto
La società ricorre in Cassazione, sollevando i seguenti motivi.
* Con il primo denuncia la violazione degli articoli 1668 e 2226 c.c. perché l'intervento di restauro e di miglioramento è stato comunque eseguito. La Corte d'appello avrebbe dovuto detrarre dall'importo di € 3.958,00 il costo delle riparazioni necessarie per eliminare i vizi e non condannare la ricorrente anche a risarcimento del danno. In questo modo è stato accordato un doppio risarcimento.
* Con il secondo motivo lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo perché il primo c.t.u. per eliminare i danni ha ritenuto che il costo da sostenere fosse di € 1.500,00 affermando che il valore del veicolo era nullo. Solo il secondo c.t.u. ha stimato il costo per il ripristino dell'auto in € 3.958,20 senza però quantificare il valore commerciale del mezzo, trascurando il fatto che lo stesso era immatricolato da circa 23 anni e che la somma per le riparazioni era quindi antieconomica.
* Con il terzo motivo rileva l'indebito arricchimento della committente perché il costo per la eliminazione dei difetti pari a € 1.500,00 euro è inferiore al risarcimento liquidato, notevolmente superiore al valore commerciale della cosa.
* Con il quarto si contesta il riconoscimento in favore della resistente, ma non richiesto, della somma di € 1100,00.
* Con il quinto infine si contesta la condanna alla restituzione fondata sulla nota di credito, perché la fattura prodotta n. 27/2010 è irrilevante ai fini della prova.
Non rileva il valore dell'auto, il risarcimento è dovuto
La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile per le ragioni che si vanno ad esporre.
Inammissibile il primo motivo perché nel ricorso non si specifica se la duplicazione di risarcimento sia stata o meno dedotta a motivo di gravame.
La Cassazione, lo ricorda, ha la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dei principi di diritto, ma se una questione giuridica non risulta già trattata in nessun modo nella sentenza impugnata e il ricorrente omette di indicare l'avvenuta deduzione e in quale atto del giudizio precedente lo ha fatto, la Corte di Cassazione non può pronunciarsi.
Il secondo e il terzo motivo, che la Cassazione esamina congiuntamente, sono inammissibili. Ad essere contestato è l'apprezzamento del c.t.u. sul valore del veicolo, profilo che però nulla ha a che fare con l'errore denunciato e che riguarda il giudizio di fatto.
La sentenza ha precisato che la valutazione del primo c.t.u. era basata solo sulla data dell'immatricolazione del veicolo, trascurando che si trattava di un veicolo Tuning, dato quest'ultimo che invece è stato preso in considerazione dalla seconda relazione tecnica.
La sentenza quindi appare motivata così come sono motivate le ragioni di preferenza della seconda valutazione sul valore del mezzo.
Inammissibili anche il quarto e il quinto motivo. In primo grado era già stata disposta la restituzione della somma riportata nella nota di credito della società il cui capo non è stato oggetto di impugnazione, lo stesso quindi è passato in giudicato. Omissione questa che preclude ogni questione sulla spettanza del rimborso.
Responsabilità medica: omicidio colposo per il sanitario che si discosta dalle linee guida.
Condannato il medico che per imperizia erra nell'introdurre un sondino nasogastrico e con grave negligenza non esegue i controlli per verificarne il corretto posizionamento (Cassazione n. 39015/2022)
nell'introdurre un sondino nasogastrico e con negligenza grave non esegue i controlli per verificarne il corretto posizionamento: questo è quanto emerge dalla sentenza 17 ottobre 2022, n. 39015 (testo in calce) della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva un medico in servizio presso un Centro Neurolesi, essere ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo in danno di un paziente sottoposto ad un ciclo intensivo di riabilitazione, per avere, con imperizia, posizionato un sondino nella trachea dell'uomo, anziché nell'esofago, determinando così la perforazione del bronco e per avere omesso di effettuare i dovuti controlli, secondo quanto prescritto dalle linee guida e dalle buone prassi, per verificare il corretto posizionamento del sondino.
I giudici del merito hanno affermato che l'imperizia nell'esecuzione della manovra di introduzione del sondino e la negligenza nell'omissione del controllo diretto a verificare il corretto posizionamento del sondino non potessero essere qualificate come di grado lieve, specificando che l'imputata non aveva individuato ed osservato le linee guida secondo cui occorreva verificare il corretto posizionamento con controllo radiologico, tenendo conto dello stato di salute del paziente che non aveva il riflesso della tosse.
Responsabilità del medico e della struttura sanitaria pubblica e privata
I fatti per cui è processo erano stati posti in essere sotto la vigenza del D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (c.d. Decreto Balduzzi), convertito nella L. 8 gennaio 2012, n. 189, a norma del quale l'esercente della professione sanitaria non è punito se, nonostante abbia rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, versi in colpa lieve. Detta normativa è stata sostituita dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, che ha introdotto l'art. 590-sexies c.p., a norma del quale qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche medico-assistenziali, sempre che ovviamente le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, l'abrogato D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, si configura come norma più favorevole rispetto all'art. 590-sexies c.p., sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza ed imprudenza, sia nel caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee guida adeguate al caso concreto (Cass. pen., Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 8770).
Secondo gli ermellini i giudici del merito hanno correttamente ritenuto la responsabilità dell'imputata, posto che la stessa non aveva individuato le linee guida da applicare nel caso concreto e, comunque, se ne era immotivatamente discostata. In particolare aveva omesso di effettuare il controllo radiologico del posizionamento del sondino, tanto più necessario nel caso in esame in ragione alle condizioni del paziente (paziente allettato, comatoso, che non aveva riflesso della tosse e risposte a stimoli dolorosi).
Come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio sulla gravità della colpa, intesa quale deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, i giudici di merito hanno valutato la posizione dell'imputata e i profili di c.d. personalizzazione del rimprovero; in ragione dell'esercizio della professione all'interno di struttura per neurolesi, l'imputata non poteva ignorare le linee guida che nel caso concreto dovevano essere scrupolosamente osservate proprio per le condizioni specifiche del paziente (Cass. pen., Sez. IV, 29 aprile 2021, n. 18347).
Incidente stradale: come farsi risarcire dall’assicurazione?
Come chiedere il risarcimento: la denuncia di sinistro, le perizie, le prove da fornire al giudice.
Nel momento in cui si fa un incidente stradale con un’auto assicurata, bisogna rivolgersi alla propria compagnia, inviare la denuncia di sinistro (allegando, se è stato compilato, il Modulo di Constatazione Amichevole) e, con essa, chiedere il risarcimento per i danni subiti: sia quelli all’auto che, se sussistenti, quelli alla persona (lesioni, colpo di frusta, fratture, ecc.). Se però per i danni a cose bisogna solo dimostrare l’entità degli stessi – oltre ovviamente all’esistenza del sinistro e all’altrui responsabilità – per i fisici il percorso è in salita. Difatti una legge rivolta a tagliare le richieste di risarcimento pretestuose ed esagerate ha imposto condizioni stringenti per le piccole lesioni (i cosiddetti «danni micropermanenti»). Vediamo allora come farsi risarcire dall’assicurazione in caso di incidente stradale. Cercheremo di descrivere la procedura che bisogna seguire e le soluzioni migliori per evitare di vedersi rifiutare l’istanza.
Indice
* 1 Incidente stradale: la denuncia di sinistro
* 2 Per un incidente stradale bisogna incaricare un avvocato?
* 3 Come dimostrare i danni all’auto
* 4 Come dimostrare i danni per le lesioni fisiche
* 5 Come ottenere il risarcimento del danno per lesioni micropermanenti
* 6 Il rigetto dell’assicurazione
-Incidente stradale: la denuncia di sinistro
Il codice civile afferma che ci sono tre giorni dal sinistro per fare la relativa comunicazione all’assicurazione. Il contratto potrebbe prevedere un termine superiore.
Tuttavia, il mancato rispetto di tale termine non implica una decadenza del diritto a ottenere il risarcimento se il ritardo non è stato determinato da un comportamento doloso e l’assicurazione non ha subito un danno.
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La denuncia di sinistro va inviata al centro liquidazione sinistri il cui indirizzo può essere reperito su internet o con richiesta all’agente di zona. La richiesta può essere spedita con raccomandata a.r. o pec.
Nella denuncia di sinistro bisogna indicare il luogo e la data del sinistro, le modalità dell’incidente e le relative responsabilità, la presenza di eventuali testimoni, i danni conseguenti all’evento.
Con la denuncia di sinistro si chiede anche il risarcimento dei danni. In questa fase non c’è bisogno di quantificare l’ammontare degli importi relativi ai danni: ciò sarà oggetto di successivo accertamento. Pertanto è sufficiente indicare quali sezioni dell’auto sono state interessate dall’impatto, se ci sono stati feriti e le relative conseguenze per essi (ad esempio ricovero ospedaliero).
Per un incidente stradale bisogna incaricare un professio9niusta???
Tutta la pratica di risarcimento relativa all’incidente stradale può essere gestita in prima persona dal danneggiato o da un suo difensore professionista esperto nel ramo risarcimento danni.
Quest’ultimo, in quanto esperto, saprà consigliare al meglio il danneggiato sui passi da fare. Né c’è bisogno di preoccuparsi della parcella del professionista : di solito è l’assicurazione a liquidare, oltre al danno, anche la parcella del professionista. Questo non toglie però che il professionista potrebbe – con preventivo sottoscritto al momento del conferimento del mandato –
-Come dimostrare i danni all’auto
Di norma, dopo la denuncia di sinistro, l’assicurazione nomina un proprio perito fiduciario affinché valuti, se sussistono contestazioni sul punto, l’effettività del sinistro, le relative responsabilità e, una volta accertata l’esistenza del diritto al risarcimento del proprio assicurato, l’entità dei danni. A tal fine viene nominato un perito che quantifichi innanzitutto il costo per la riparazione del veicolo. Il risarcimento non può superare il valore che il mezzo aveva prima del sinistro, salvo si tratti di piccoli danni.
Il risarcimento deve comprendere anche l’Iva sulla fattura del carrozziere.
-Al danneggiato basta mettere a disposizione il proprio mezzo per l’espletamento della perizia. È l’assicurazione a fornire a quest’ultimo il nome del consulente e il relativo recapito e numero di telefono per concordare l’appuntamento.
Ciò non toglie che l’assicurato, per non rimanere senza auto, potrebbe farla riparare prima, anticipando i costi dell’intervento. In tal caso dovrà assicurarsi di effettuare fotografie alle parti danneggiate per poi presentare la fattura all’assicurazione la quale dovrà rimborsarne il relativo prezzo.
-Come dimostrare i danni per le lesioni fisiche
Nel caso di lesioni alla persona, all’assicurato spetta il risarcimento del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale.
Il danno patrimoniale è quello costituito dai costi per le terapie mediche e farmacologie, la fisioterapia e quant’altro necessario per la guarigione. Inoltre è costituito dal cosiddetto lucro cessante ossia dalla perdita di reddito per lo “stop” forzato durante la convalescenza. Per le spese vive è sufficiente conservare gli scontrini o le fatture ed esibirle all’assicurazione. Per la perdita di fatturato è opportuno mostrare la differenza tra la dichiarazione dei redditi attuale e quella degli anni precedenti.
-Il danno non patrimoniale è invece costituito innanzitutto dal danno biologico. Esso è il danno conseguente alle lesioni all’integrità fisica che possono essere permanenti o momentanee, comportanti un’invalidità totale (si pensi a una persona costretta a stare a letto per un mese) o parziale (si pensi a una mano fratturata). Il danno patrimoniale, che può essere dimostrato con cartelle cliniche e certificati medici, viene quantificato secondo le tabelle del Tribunale di Milano o di Roma. È un calcolo matematico che tiene conto dei punti di invalidità accertati dal perito dell’assicurazione (o, in caso di processo, dal consulente tecnico del giudice) e dell’età del danneggiato.
Oltre a ciò è dovuto il risarcimento del danno morale consistente nella sofferenza psicologica e/o fisica conseguente all’incidente. Viene calcolato secondo “equità”, ossia in base a quanto appare giusto nel caso concreto.
-Come ottenere il risarcimento del danno per lesioni micropermanenti
Tutte le volte il cui il danno biologico è di lieve entità, ossia non supera i 9 di punti di invalidità, la legge consente di ottenere il risarcimento solo se il danno stesso è accertabile da una indagine strumentale (ad esempio una risonanza) o è accertato da una visita medico-specialistica o dal certificato del pronto soccorso. Si vuol così evitare che i semplici fastidi (giramenti di testa, conati di vomito, dolore articolare, ecc.) non verificabili oggettivamente possano essere il “grimaldello” per ottenere facili risarcimenti.
La Cassazione ha via via ampliato l’interpretazione di questa rigorosa legge. Di recente la Corte [1] ha stabilito che chi riporta danni micropermanenti da un incidente stradale, come problemi alla cervicale o alla schiena, può essere risarcito sulla sola base di un esame clinico senza la necessità di esami diagnostici e strumentali.
-L’accertamento del danno alla persona deve essere sì condotto secondo una rigorosa criteriologia medico-legale, ma anche nel caso di micro-permanenti sono ammissibili anche fonti di prova diverse dal referti di esami strumentali. Gli esami strumentali, infatti, non sono l’unico mezzo utilizzabile, ma si pongono in una posizione alternativa rispetto all’esame obiettivo (criterio visivo) e all’esame clinico del medico legale.
-Il rigetto dell’assicurazione
Se l’assicurazione dovesse rigettare la richiesta di risarcimento o quantificare lo stesso in misura inferiore rispetto a quanto ritenuto equo dall’assicurato, questi può rivolgersi al giudice facendo causa entro 2 anni dal sinistro.
Cass. civ., sez. III, sent., 22 dicembre 2022, n. 37477
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